Recensioni
L'arte molto significativa di Otto Piazza, scultore in cui l'artigianato sfocia nell'arte senza soluzione di continuità, e che proprio per questo è pienamente e totalmente artista, è una creazione di natura, di sentimento, e di "attesa", come nel titolo di una sua opera oltremodo significativa.
Che lavori con il legno o con il marmo, o con altri materiali (dove bisogna tener conto che ogni legno e ogni marmo è diverso dall'altro, oltre a tutto), l'artista gardenese non ha avuto mai alcuna necessità di un "redde rationem" con la sua ascendenza di modellatore sacro retotomanico, proprio perché la sua arte è alla continua ricerca del bello, che persegue in particolare nel Femminile, come simbolo archetipico di fecondità ma anche proprio di Natura, dove quest'ultima inevitabilmente rimanda a Dio, qualunque concetto si abbia di Dio stesso.
Ecco allora che la sintesi tra ispirazione profana e religiosa non ha neanche più ragion d'essere, in quanto tutta l'opera di Piazza è un inno al Creato nella sua bellezza e nella sua ricezione interiormente positiva, al di là dello specifico delle singole forme.
E lo "spettatore", senza bisogno di dover "scrutare", sarà inevitabilmente coinvolto in questo canto panico e al tempo stesso "sacro", sempre che l'aggettivo non sia abusato.
Dott. Prof. Eugen Galasso
scrittore e critico d'Arte
Bolzano, 23 settembre 2002
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Sono 10 le sculture con le quali l’artista mostra la sua versatilità sia tecnica che tematica e sono svolte prevalentemente nei materiali propri della valle dolomitica in cui artisticamente si forma.
Alcune, infatti, sono in legno di noce, di larice o di cirmolo, altre invece, sono realizzate nella pietra arenaria o nella cupa e dura pietra Bellerophon che l’artista stesso trova nascosta tra le montagne che lo ricondano. Non si lascia però appagare e soddisfare da tanta consuetudine di materiale e così si volge a sperimentare, pieno di curiosità, altri racconti e altre interpretazioni che segue nel candore del marmo bianco di Carrara o in quello nero striato di Spagna, nel rosa di Verona o in preziosi e lontani legni esotici, come pure nell’ulivo. Si fa insomma viandante che persegue sentieri differenti, scorge poi in realtà i “percorsi” artistici e spirituali di sé.
La figura sulla quale torna con più amabile insistenza è quella femminile, che rende in forme armoniose e abbondanti, raccolta pudicamente in semplici vesti o data, senza ritrosia, nella fierezza del suo corpo nudo.
Conduce l’osservazione sul carattere della donna che si dà alla gioia della maternità, o ai labirintici grovigli della sua capacità di seduzione attraendo verso se stessa le attese inespresse, i desideri irrealizzati.
Allo scavo psicologico oppone il controllo formale dei corpi dei quali accentua gli atteggiamenti e le posture, pur sempre nel rispetto di una posa composta e quieta.
La resa plastica dei soggetti è affidata ai contorni delle masse, ora decisi e serrati, ora leggeri e sinuosi: c’è grazia ed essenzialità e la visione scelta e indagata è prevalentemente quella frontale.
La produzione scultorea di Otto Piazza è varia nelle dimensioni e nelle soluzioni stilistiche e passa da opere caratterizzate da tratti realistici a creazioni che sfiorano l’astratto informe. Tutte di fattura pulita e precisa, manifestano un’assonanza di spirito garbato e sensibile, lo stesso che anima il fare calmo e silenzioso del loro artefice.
Dott.ssa Danila Serafini
Docente di Storia dell’Arte
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Contiene la maestria scultorea gardenese l'educazione manuale con cui Otto Piazza veste di invenzioni nuove e moderne le donne e i volti che trionfano sugli altri temi del suo immaginario.
E' come un maestro di bottega medioevale che continua il mestiere che ha appreso e che attua in un fare che ha l'onestà della fatica severa e appagante e che rivela la facilità che non esiste , se non come sublime risultato di un operare ostinato e delle difficoltà da superare e vincere. Non c'è dunque un controllo intellettuale, ma la compostezza formale di un pensiero nella sua rappresentazione ed è questo il segno distintivo del "bello" nella scultura di Otto Piazza.
L'effetto della luce sui modellati è di realismo e di attenuata mobilità, poichè l'autore non si allontana dal naturale anche se mai lo intende in termini netti o limitanti.
I corpi femminili sono modellati in forme lisce, lineari e arrotondate, raccolte ma non concluse e le posture sono traduzioni di quiete e di pace. In queste donne si ripete l'archetipo dell' "amata del cuore" n e del profumo del suo respiro che diletta.
Otto Piazza indaga la figura umana nei momenti di pudicizia o di svago o di intimo raccolgimento e poi la magnifica in saldezza plastica, a volte quasi scabra, perchè non è latrice di leziosità bensì di grazia, ne di gesti eletti ma di delicatezza d'interni.
Shakespeare fa dire a Polonio: ".......sii sincero con te stesso, ne seguirà come alla notte il giorno che non sarà mai falso con nessuno......." ed è in questo imperativo che alberga il valore etico del nostro scultore.
Dott.ssa Danila Serafini - Ortisei
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Se per Gauguin “il colore è enigmaticamente nelle sensazioni che esso desta in noi” per Otto Piazza, è la forma ad essere enigmaticamente nelle sensazioni che in noi risveglia, la stessa forma che avvolge i volumi e li colma e che, memore della tradizione passata non si arresta nella ripetizione, ma inventa un codice espressivo nuovo e personale. In apparenza semplice e pur sempre in un rapporto mimetico con la realtà, la sua arte comunica un'essenza plastica dai toni forti e armoniosi, anche quando è la solennità di un san Giacomo a prevalere o l'eleganza pudica di una donna. I volti delle sue figure sono scrigni di segrete emozioni che custodiscono con silente e attonito aspetto un sentire recondito e privato. Otto Piazza tende alla semplificazione e alla purezza della forma e con esse sostanzia soggetti consueti che poi diversifica per pose e materiali differenti, il legno, la pietra il marmo e così via, ma sempre risolti in un linguaggio pulito e originale, e sempre lontano da qualsiasi enfasi retorica o da ridondanti e ricercati artifici. Quello che vediamo è davvero quello che è, ovvero la genuina e autentica risoluzione di un'idea in una foggia in cui si sommano una tecnica sicura e versatile con intendimenti espressivi veri e profondi. Se queste sono le premesse per decodificare l'opera, non esulerà dalla lettura una necessaria valorizzazione del senso del ritmo in cui sono iscritti i lavori, che è misurato, contenuto e scandito da gesti e posture sobri e pacati. Tuttavia, non manca all'artista l'ardire per inoltrarsi in sperimentazioni, apparentemente non conformi al suo fare quotidiano, di oggetti nuovi, come per esempio i pannelli laterali di un ponte in corten per il passaggio pedonale degli sciatori nel suo paese, Selva di Val Gardena. Accoglie la sfida, studia con attenzione il progetto e ottiene un risultato coerente per intento e per realizzazione ai suoi pensieri e alla sua poetica. Una poetica, la sua, intrisa di garbo e di finezza e sempre imperniata sulla verità, quella verità che si trova, come diceva Eraclito, soltanto quando si è disposti ad accettare anche ciò che non ci si aspetta. A questa Otto Piazza unisce il rigore di una virtù manuale appresa in bottega sin da ragazzo e che diviene l'ordito col quale tessere le sue creazioni, mentre la libertà nell'immaginare è il filo con cui ricamare la bellezza, parafrasando Baudelaire, di “un sogno di pietra”.
Dott.ssa Danila Serafini
Docente di Storia dell’Arte
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Potenza di Espressione
Ben si attaglia alla produzione artistica di Otto Piazza la definizione che Arturo Martini dà alla pratica scultorea, ovvero quella di “ grembo plastico, perché ogni cosa non sarà più riprodotta come un fatto avulso nello spazio e posato su di un piedistallo, ma nel suo orizzonte poetico sposandosi ed esprimendosi nello spazio .” (Arturo Martini, La scultura lingua morta e altri scritti, p.22, Milano, Abscondita, 2001). Le opere di Otto Piazza incarnano questo concetto perché sono forme che modellano materiale amorfo fino a renderlo un grembo materno, parafrasando ancora Martini, ovvero forme che vivono nel loro rapporto con lo spazio. Un importante punto di partenza per Otto Piazza è la conoscenza dell’anatomia, tanto da far sì che , come egli ha sottolineato nello scorrere di un piacevole pomeriggio estivo all’ombra del Sasso Lungo, l’incipit per una scultura sia il corpo nudo che poi, man mano, l’artista veste creando una forma non più obbligata dalla corretta rappresentazione dello stesso, ma liberata nell’esprimere lo spirito, l’essenza del soggetto stesso. Otto Piazza dimostra come la scultura oggi non possa più essere la mera esaltazione di un modello, di un prototipo, ma debba invece riuscire a far cogliere quella che per Brancusi è l’essenza della vita, lo slancio vitale di bergsoniana memoria. Il percorso creativo dello scultore gardenese è in questa prospettiva oltremodo significativo: la prima ispirazione viene dall’elemento naturalistico dal quale poi l’artista si allontana, ben consapevole del fatto che l’arte e la natura parlano linguaggi affascinanti, ma distinti l’uno dall’altro. Nella maturazione progressiva dell’idea, Otto Piazza mette in essere un complesso gioco fra l’elemento teoretico e quello emozionale-immaginativo lasciando che questi due elementi si sovrappongano in un cammino il cui traguardo è la conclusione della realizzazione dell’opera. Un altro elemento strutturale importante per lui è la luce. Questa non è più un fattore casuale, ma diventa parte della forma stessa. Nei prodotti artistici l’ombra e la luce sono elementi complementari l’uno all’altro: l’artista ne gestisce il rapporto collegandoli in un rapporto paritetico nella forma plastica. E’ questa una costante del linguaggio artistico del maestro gardenese, sia che usi il marmo rosa di Verona o del Portogallo, sia la più rara pietra nera del Belgio, materiale che, riecheggiando il più casalingo bellerophon, esalta con il suo cupo cromatismo la carica energetica raccolta nell’immagine. La luce con il suo dinamismo esalta il contrasto proprio fra una forma statica e tutto ciò che è cangiante, riuscendo paradossalmente a stabilizzare la plasticità della forma liberandola da un possibile eccesso di pesantezza, di ridondanza volumetrica. Viene così ad emergere quella che Henry Moore definiva come potenza di espressione la quale, a differenza della semplice bellezza di espressione, suscita nel pubblico un coinvolgimento molto profondo e non limitato ad una più superficiale adesione sensoriale. D'altronde il linguaggio figurativo dell’artista si presenta come uno stile che si può spregiudicatamente definire come classico-espressionista: se nella sua sintesi si presenta compatta la superficie dell’opera, parimenti vi si possono rilevare delle asperità, dei tratteggi, delle cavità appena accennate che vogliono testimoniare anche l’adesione del materiale all’inesorabile trascorrere del tempo che trasforma lentamente, ma inevitabilmente la sostanza delle cose. Si avverte nelle singole opere un’energia trattenuta, una forza vitale che appartiene loro in modo esclusivo indipendentemente da ciò che vogliono rappresentare: esse diventano espressione del significato profondo della vita stessa. L’artista si allontana dalla mera rappresentazione figurativa inverando un linguaggio che non può essere ingabbiato in quello di un’avanguardia storica, ma che non è nemmeno riconducibile alla semplice rivisitazione di quello più tradizionale. L’elemento organico assume sempre per lui un ruolo fondamentale, ma a ciò egli associa in modo altrettanto determinante diversi fattori psicologici e svariate associazioni di idee: da tale coacervo di elementi nasce il senso e il valore della forma la quale non è per lui scindibile da tutte le riflessioni e ricerche che, nello svolgersi della storia dell’umanità, si sono accumulate attorno alla forma stessa. Per Otto Piazza è inoltre importante essere fedeli al materiale stesso, ovvero essere attenti a non contraddirne la logica interna, a non forzare la natura costitutiva della materia prima, pena l’indebolimento della stessa, sia essa pietra, legno o quant’altro. In altri termini, ogni idea necessita di un materiale appropriato per la sua realizzazione in modo che si possa stabilire un rapporto attivo e proficuo con le qualità specifiche del mezzo prescelto. La forma può crearsi attingendo direttamente da un’immagine esteriore o può essere il risultato di un processo creativo più lento che, partendo dal pensiero, transiti poi nel disegno e si concretizzi da ultimo nella forma plastica. Entrambi questi percorsi rispondono comunque per Otto Piazza a quel concetto di necessità interiore sapientemente declinato da Kandinsky: la forma è espressione esteriore del contenuto interiore, quest’ultimo ovviamente diverso da artista ad artista, ma che in ogni specifico è dettato da quel miscuglio di elementi che contraddistinguono la personalità del singolo individuo. E’ proprio questa necessità interiore che parla nelle sue opere, lasciando manifestare pienamente quel lampo dello spirito che Brancusi (cfr. Brancusi, Aforismi, Abscondita, Milano, 2001) indicava come il più fedele testimone dell’essenza della vita spirituale. Infatti verso una dimensione altra tendono tutti i personaggi, gli animali rappresentati da Otto Piazza che non sembrano mai dialogare gli uni con gli altri, ma che invece, con lo sguardo teso verso lo spazio, verso l’infinito, guardano oltre, verso quelle mete spirituali dove albergano sentimenti ed emozioni universali che valicano i confini del singolo individuo, ma che sono insiti nella trama psicologica dell’umanità. Al termine di queste brevi considerazioni, si può allora oggi dire che Otto Piazza propone delle opere le quali, partendo dall’analisi del quotidiano, della natura, divengono strumenti di intensa meditazione, di quella meditazione che non è sterile, fine a se stessa, ma che diventa slancio verso l’Assoluto e quindi preghiera (cfr. Brancusi, op. cit., p.16); sembrano innalzare una preghiera per l’umanità intera offrendone a Dio le sofferenze, per esempio, le mani della vibrante Maria Teresa di Calcutta scolpita da Otto Piazza per la gardenese chiesa di Santa Cristina. Scriveva nel 1952 Henry Moore: “ l’arte non è un sedativo o una droga, né un semplice esercizio di buon gusto, e neppure un abbellimento della realtà con piacevoli combinazioni di forme e di colori: è invece un’espressione del significato della vita e un’esortazione a impegnarvisi con sforzi ancora maggiori.” (Henry Moore, Sulla scultura, Abscondita, Milano 2002)
Dott.ssa Prof.ssa Marina Manfredi
Consigliere del Consiglio Accademico dell’Accademia Belle Arti di Venezia
Docente di Storia dell’ Arte
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